Passata in giudicato la condanna, ricorre nuovamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo Katia Reginella, ora detenuta nel carcere di Teramo e assistita dall’avvocato Vincenzo Di Nanna, condannata per l’omicidio del figlio Jason in concorso col marito Denny Pruscino. Nel ricorso, Katia Reginella sostiene di essere stata sottoposta a tecniche di interrogatorio che potrebbero essere equiparate a torture.
“Nel corso del processo sono state commesse gravi violazioni del diritto alla difesa, al punto che la magistratura ha ignorato la certificata condizione patologica dell’accusata, affetta da un significativo ritardo mentale, così da negare il diritto ad un equo processo e sottoporre la Reginella a un interrogatorio-tortura. La tenace opposizione da parte dei Pm all’esperimento di una perizia psichiatrica ha fatto sì che il processo alla Reginella si sia svolto senza un serio accertamento sulla sua effettiva capacità di parteciparvi: solo dopo due anni la Corte d’Assise di Macerata scopre d’aver sino a quel momento processato una persona con un significativo ritardo di mente”, spiega l’avvocato Di Nanna.
“In base alla prima perizia, Katia Reginella è stata ritenuta non imputabile e incapace di partecipare coscientemente al processo; la Corte d’Assise ne ha disposta però un’altra che, pur confermata la diagnosi di ritardo mentale, ha giudicato costei imputabile e capace di partecipare al processo. Difficile però capire come una persona di cui si certifica l’impossibilità di comprendere pienamente il nesso tra cause e conseguenze possa esserne in grado, tanto più che alla giovane, secondo i periti ‘patologicamente suggestionabile’, è stato chiesto dai P.M., in sede d’interrogatorio, di mimare con un bambolotto l’omicidio del figlio, azione peraltro commessa da Denny Pruscino. La singolare procedura d’interrogatorio rappresenta una sicura e grave offesa alla dignità umana”.