Il commercio ascolano, come volevasi dimostrare, si ritrova nel bel mezzo di una situazione paradossale: da una parte le crescenti inagibilità dei locali e dall’altra le esenzioni fiscali che andranno, invece, alle nuove aziende aperte o in apertura da settembre 2016 fino al prossimo dicembre, ma non a chi era aperto proprio quando le scosse telluriche hanno provocato danni e messo in fuga molti cittadini e visitatori. Beffa o paradosso che dir si voglia, ora le attività produttive ascolane danneggiate (direttamente o indirettamente) dal terremoto, toccano con mano l’assurda realtà di non poter beneficiare di tutte le agevolazioni (esenzioni fiscali in primis), salvo un calo di incassi di almeno il 25% per il periodo del terremoto rispetto all’anno prima. E la beffa sta anche nel fatto che proprio in questi ultimi mesi, ovvero più di un anno dopo le prime scosse, diversi locali commerciali si ritrovano in palazzi che solo adesso vengono dichiarati inagibili, a causa dei ritardi per i tantissimi sopralluoghi.
Uno scenario che tra l’altro, prende consistenza proprio alla luce delle oltre 900 ordinanze di evacuazione finora diramate dall’Arengo destinate ad aumentare in maniera consistente giorno dopo giorno. Con immobili dichiarati non utilizzabili (dopo schede Fast) o inagibili e negozi o locali in bilico tra l’obbligo di una chiusura (seppur temporanea o parziale) e l’incertezza sul loro futuro, senza la certezza di beneficiare delle agevolazioni previste, invece, per le nuove attività. Ordinanze che si rincorrono da piazza del Popolo a piazza Arringo, corso Mazzini e tante altre zone, anche fuori dal centro storico. Con un punto interrogativo che aleggia ancora, a distanza di oltre 13 mesi, su molte attività. Insomma, il classico pasticcio all’italiana dove le normative per aiutare la ripresa del territorio favoriscono i nuovi investimenti e le nuove aperture, ma senza preoccuparsi di mantenere in vita quelle realtà che hanno subito sulla propria pelle, anche in maniera indiretta, gli effetti del terremoto e rischiano di chiudere per sempre. Adesso, però, di fronte ad una situazione critica quanto paradossale, si levano appelli e prendono corpo solleciti.
Dopo un segnale già lanciato dal presidente della Confcommercio ascolana, Ugo Spalvieri, al momento dell’approvazione della circolare di attuazione per la zona franca dei territori colpiti dal sisma, ora anche gli stessi commercianti – che vivono la situazione sulla loro pelle – rivolgono un appello alle affinché si sblocchi la situazione in favore di chi si ritrova con una sede inagibile o comunque inutilizzabile ma non può accedere alle esenzioni previste dalla zona franca, così come vengono esclusi coloro che hanno subìto cali di incassi nei mesi di fuga dal terremoto ma, al di sotto del 25% e per questo non avranno nessun aiuto, al contrario di chi, invece, aprirà un’attività ora, entro dicembre. Il Lorenz Cafè, ad esempio, fa notare come per la dichiarazione di inagibilità arrivata solo da poco, i dodici dipendenti che dovranno essere messi in cassa integrazione per la chiusura parziale del locale, avranno una copertura garantita dallo Stato solo fino a dicembre. E il problema delle dichiarazioni di inagibilità che arrivano anche dopo oltre un anno, per la consistenza delle domande, penalizza le tante attività rimaste aperte pur tra incertezze e clienti in fuga. In tal senso, la zona franca per le aree del sisma non sembra aiutare più di tanto il mantenimento in vita delle attività: se incentivare nuove aperture e investimenti sul territorio (o chi comunque ha aperto da settembre 2016) con esenzioni importanti fino a 200.000 euro andasse a coincidere con la chiusura di diverse ditte già esistenti al momento delle prime scosse, abbandonate a se stesse dalla zona franca, si potrebbe parlare lo stesso di effetti benefici per il territorio colpito dal sisma?