Per la rubrica “Dialoghi”, ecco l’intervista alla dottoressa Fiammetta Monte, psicologa e psicoterapeuta, sugli effetti del lockdown a livello psico-fisiologico.

di Simone Cappelli

Dottoressa, quali sono stati i risvolti psicologici più frequenti durante e dopo il lockdown? Qual è stata la risposta della città di Ascoli?

Il lockdown ha determinato il venir meno di una serie di elementi portanti del benessere psicologico. In primis lo svolgimento di una normale vita sociale, da intendere come l’incontro con parenti, amici ma anche la routine lavorativa, la scuola, lo sport. Tutti queste rinunce, unite al gran numero di notizie negative a cui siamo stati esposti, hanno creato dei disequilibri nel bacino psico-fisiologico generale riscontrabili anche nel ritmo sonno-veglia di chi non aveva problemi. L’insonnia, dunque, è stato un sintomo abbastanza comune. I fattori elencati poc’anzi in persone con una preesistente vulnerabilità psicologica hanno determinato il ripresentarsi di veri e propri quadri patologici legati all’ansia, alla depressione, all’abuso di alcolici, all’abuso di sostanze psicoattive. In questi casi non parliamo mai di un unico fattore scatenante – come può essere l’emergenza che stiamo vivendo – ma fattori psicologici, individuali – legati alla storia personale – sviluppatisi nel tempo. In generale, certo, tutti abbiamo faticato sia ad entrare nell’ottica di un serrato lockdown che ad uscirne; non è stato facile mutare le nostre abitudini rinunciando ad un continuo confronto sociale.

Dottoressa Fiammetta Monte Durante l’emergenza Covid-19 ha utilizzato la tecnologia per sopperire all’impossibilità di incontrare i pazienti? Se sì, quali sono stati i riscontri favorevoli e le problematiche dal suo punto di vista e da quello dei pazienti?

Ho utilizzato la tecnologia, videochiamate in particolar modo, principalmente con i pazienti con i quali avevo già intrapreso un percorso di psicoterapia. Le problematiche più frequenti sono state legate ad una mancanza di privacy dei pazienti essendo per loro fondamentale lavorare in una condizione in cui si sentano protetti, tutelati. Si lavora su aree specifiche legate alla loro vulnerabilità che spesso suscitano sentimenti di rabbia, di colpa, di vergogna, e tutto ciò è risultato complicato nei casi in cui la persona non ha avuto la possibilità di ricavarsi uno spazio in cui il coniuge, i genitori, i figli non potessero irrompere. Nei casi in cui, invece, i pazienti sono riusciti a crearsi un’area personale, accedere – anche se solo virtualmente – alla stanza di terapia all’orario concordato ha significato in primis un elemento di continuità con la vita pre-lockdown ed in secundis un modo per non sentirsi soli nell’affrontare un momento difficile, complicato che si è andato ad inserire in situazioni già precedentemente faticose. Una personale criticità è sorta laddove non ci fosse una buona comunicazione, poiché interrompere il flusso comunicativo o non vedere bene la persona – le sue espressioni, i movimenti, le sfumature – mi ha causato problemi legati all’importanza della comunicazione non verbale nella nostra professione. Dove la connessione mi ha supportato, invece, l’esperimento è andato a buon fine, tanto che alcuni pazienti hanno scelto di continuare su questa strada. Sulla scelta ha influito la possibilità di essere più flessibili nell’orario. Ho inoltre seguito un corso specifico su come affrontare al meglio il rapporto terapeutico online e portato a termine un incontro con una classe sul tema del cyberbullismo.

Sono cambiate le prospettive dalla cosiddetta Fase 1 alla Fase 3? Nota le stesse preoccupazioni ora che le restrizioni sono minime?

Dottoressa Fiammetta Monte 2E’ importante, innanzitutto, anche qui, distinguere le classiche preoccupazioni che un po’ tutti abbiamo vissuto e stiamo vivendo dai casi dove si riscontrano vere e proprie patologie. La domanda è legittima, nelle Fase 1 molti ponevano l’attenzione sullo sviluppo sanitario, adesso è più facile riscontrare preoccupazioni di stampo economico. Tutto questo, però, si smarca dal concetto di patologia, che – come detto in precedenza – sorge quando il paziente è affetto da problematiche preesistenti. La situazione creatasi ha colpito soprattutto persone che nella loro vita hanno avuto riscontri ansiosi o con una tendenza all’ipocondria. In alcuni casi sono poi sfociati in quadri patologici gravi con disturbi aggressivi.

Si è parlato molto della “Sindrome della Capanna” in relazione all’emergenza Covid-19. Cos’è e come superarla?

Non parlerei di sindrome, non presente nel manuale diagnostico-statistico dei disturbi mentali, bensì di un sentimento comune al termine del lockdown, visto che molti durante la reclusione hanno tentato di costruirsi una nuova routine fatta di gesti ed azioni quotidiane che hanno assunto una funzione rassicurante. Si è andata a creare una confort zone sia perché ripetuta giorno dopo giorno, sia perché messa in atto nell’ambiente familiare spesso scevro da alcune preoccupazioni derivanti dal confronto con gli altri. Il ritorno alla normalità ha creato emozioni spiacevoli e pensieri di nostalgia per la Fase 1. Questo non vale per tutti perché ci sono dei casi dove vivere in famiglia è tutt’altro che rassicurante, però per la maggior parte delle persone la vita casalinga è un luogo dove sentirsi protetti. I sentimenti provati dalla stragrande maggioranza della popolazione possono essere riconducibili a quelli provati al termine di una vacanza estiva.

Gli adolescenti e gli anziani rientrano tra le categorie più colpite dall’emergenza. Quali sono state le risposte avute nel passaggio a una nuova fase di normalità?

I ragazzi hanno vissuto i primi tempi dell’emergenza come una specie di vacanza, ma subito è subentrato il venir meno del rapporto con i compagni, con gli amici, con gli insegnanti. La loro è un’età particolare dove si costruisce la propria identità nel rapporto con i coetanei e con il mondo esterno. In aggiunta a ciò, penso a tutti i ragazzi che hanno dovuto sostenere esami di terza media o di quinto superiore ai quali è venuto a mancare sia il momento conclusivo di un percorso importante, sia il rapporto di protezione e condivisione rappresentato dai compagni. Ci sono stati sentimenti di tristezza e di ansia comuni. Il risvolto favorevole è stato rappresentato dal fatto che gli adolescenti sono nativi digitali ed hanno avuto le capacità per affrontare meglio la distanza rispetto a molti adulti che non sono avvezzi a vivere la socialità in maniera digitale. Per quanto riguarda gli anziani mi vengono in mente in particolar modo i malati di demenza; io stessa opero all’interno di un’associazione ascolana nata da pochissimo, l’Associazione “Anchise”, nata poco prima del Covid-19. Durante l’emergenza abbiamo lavorato per poter partire a breve perché, per queste famiglie,  il lockdown ha rappresentato – e rappresenta ancora oggi, per molti anziani impossibilitati ad uscire – una vera sofferenza. La mancanza di poter dar sfogo a quelle che sono le abitudini, i ritmi giornalieri dei malati non ha permesso loro di gestire la malattia e tener sotto controllo sintomi legati al comportamento, all’ansia, alla depressione. L’essere compressi in casa ha creato disagio sia al malato stesso, sia nei cosiddetti “caregiver”, che sono una categoria molto a rischio nel sviluppare sintomi vista la situazione. Per aiutarli, l’associazione ha deciso così di partire con dei gruppi di auto mutuo aiuto che saranno curati da due colleghe.

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