Con l’operazione “Real Estate”, ancora una volta è il settore dell’edilizia verso il quale il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ascoli Piceno ha focalizzato condotte di bancarotta in capo a 3 imprenditori ed altrettanti professionisti del Collegio sindacale, tutti deferiti a piede libero alla locale Autorità Giudiziaria.
Non si è ancora spenta l’eco dell’operazione “Nemesi” – l’indagine internazionale grazie alla quale sono stati ricondotti alla disponibilità della curatela fallimentare beni per oltre 70 milioni di euro – che le stesse Fiamme Gialle del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ascoli Piceno definiscono oggi un’altra importante attività di indagine diretta dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno, sempre in materia di reati fallimentari, culminata con il sequestro di unità abitative (e relative pertinenze) acquistate con disponibilità rinvenienti dalla distrazione dalla fallita di 322.000 euro, ubicate nel comune di Ascoli Piceno, operato sulla scorta del provvedimento emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il locale Tribunale.
Procura della Repubblica e Polizia economico-finanziaria di Ascoli Piceno ancora in campo, quindi, nell’esecuzione di indagini di polizia giudiziaria concernenti reati societari, fallimentari e fiscali, in questo caso avviate nel 2018, implicando un’importante impresa di Ascoli Piceno del comparto costruzioni di edifici, i cui amministratori e soci, “alla resa dei conti”, sono stati ritenuti responsabili di distrazioni e dissipazioni per oltre 8 milioni di euro e, altresì, di un abusivo ricorso al credito per 10 milioni di euro.
Anche in questo caso, come già verificatosi per l’operazione “Nemesi”, si è intervenuti nei confronti di una società dapprima ammessa alla procedura del concordato preventivo e, quindi, arrivata al fallimento con sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno, in relazione ad un aggravamento del dissesto per circa 3,8 milioni di euro, passato, infatti, da 709.000 euro di deficit patrimoniale del 2008 ai 4,5 milioni di euro del 2015.
Non poco articolate sono state le evoluzioni che hanno portato alla decozione la società, “punto operativo” di una serie di altre imprese dello stesso settore commerciale operanti, principalmente, nelle Marche, in Abruzzo e in Toscana e facenti tutte capo ai tre imprenditori (amministratore e soci) della fallita.
Sette sono state le imprese in forte crisi economico-finanziaria a seguito del default della principale “società operativa” poi fallita e, di conseguenza, quali società “correlate”, finite nel cerchio delle indagini.
Dalla sentenza di fallimento, risalente all’anno 2015, i tre imprenditori – rivestenti, a diverso titolo, le qualità di amministratori e di soci – avevano perseverato nella loro gestione, ancorché in forte difficoltà finanziaria, concorrendo a cagionare e ad aggravare il dissesto della società attraverso una serie di operazioni distrattive e/o dissipative, in vista dell’inevitabile fallimento.
Omessa contabilizzazione di rilevanti poste di bilancio (quali le cessioni di immobili per circa 3 milioni di euro, avvenute pochi giorni prima del deposito della domanda di concordato preventivo), iscrizione di poste dell’attivo inesistenti per 2 milioni di euro, erogazione di cospicui finanziamenti in favore di parti correlate senza alcuna garanzia e senza attivazioni tese ad ottenerne la restituzione, prestazione di garanzie in favore di società terze per oltre 4 milioni di euro nel corso degli anni in cui la fallita versava in uno stato di evidente crisi e conclamato dissesto, sono alcuni dei principali elementi che hanno consentito di nascondere la reale situazione patrimoniale e finanziaria societaria degli esercizi relativi a ben sette annualità (dal 2008 al 2014), facendone proseguire l’attività pur in assenza dei requisiti previsti dalla legge.
In breve, le prerogative della polizia giudiziaria arrivano alla piena inclusione di quelle di polizia economico-finanziaria, nel frattempo arricchite anche attraverso l’interrogazione dell’“Archivio dei rapporti con operatori finanziari” e alla contestuale esecuzione delle indagini finanziarie; 16 sono state in definitiva le società che, al pari dei 3 imprenditori indagati, si sono viste scandagliare tutti i rapporti bancari intrattenuti, negli anni, con una moltitudine di istituti di credito.