di Luca Marcolini
L’addio alla zona gialla per l’ingresso in quella arancione, con l’incubo di quella rossa. Il tutto tra decreti e decisioni che ormai si susseguono a ritmi impressionanti, di pari passo con questa dannata curva dei contagi che condiziona ormai le vite di tutti noi senza lasciarci neanche il tempo di riflettere e di capire dove stiamo andando. E tutto questo, calato nel contesto di una città di provincia già sufficientemente martoriata (non bastasse) anche dal sisma impietoso del 2016, qual è Ascoli con le sue famose torri, assume i contorni di uno scenario davvero tra i più difficili mai affrontati negli ultimi decenni. Impossibile azzardare previsioni, anche di fronte ai primi annunci di un vaccino alle porte. Impossibile capire cosa ne sarà del prossimo Natale.
Di certo è che, – bypassando analisi e prospettive dal punto di vista epidemiologico-sanitario e non alzando il coperchio sulle strategie concrete che dovrebbero bollire in pentola per far fronte alla crisi economica conseguente – stavolta proprio il Natale rappresenterà una dura prova del nove per la tenuta di tutto il sistema microimprenditoriale ascolano (e non solo). Dopo il lockdown primaverile – che perlomeno si affacciava sull’estate incombente – per tutte le attività commerciali, artigianali e di servizi della città che si sono attenute alle regole è arrivato il danno insieme alla beffa. Perché investire in dispositivi di sicurezza, igienizzazioni e sanificazioni, segnaletica per il distanziamento e quant’altro, alla fine non è servito a nulla. Si è scivolati tutti nuovamente a due passi dal baratro del lockdown totale. E la reazione sul campo in questa fase, mentre l’Arengo porge la propria mano alle attività attraverso bonus una tantum comunali, appare sempre più difficile.
Sul fronte dei pubblici esercizi, già in difficoltà di fronte ad una chiusura obbligata alle 18, con l’ingresso repentino in questa “zona arancione” è arrivata una chiusura totale che sembrerebbe intonare il de profundis per molte attività. Con l’unico appiglio di asporto e consegne a domicilio che, però, non appare assolutamente in grado di tamponare le emorragie dei bilanci. Ed ecco che diversi esercenti decidono di ridurre gli orari e addirittura i giorni di attività (ovviamente solo per garantire il servizio d’asporto e a domicilio). Sapendo bene che per qualcuno andare avanti in questa fase significherebbe combattere una guerra contro i mulini a vento.
Tutto questo con evidenti ripercussioni anche per l’intero settore no food. Perché è chiaro che, con i locali che abbassano le serrande e i flussi di persone che si riducono all’osso (del resto, l’obiettivo dal punto di vista sanitario era proprio questo), diventa molto difficile alimentare lo shopping. Con molti negozi che si ritrovano a doversi sobbarcare costi tra ordini, personale e spese vive, senza sapere se e quando incasseranno qualcosa.
Ma, in realtà, la mazzata si prospetta ancor più pesante proprio per l’unica certezza che, come detto, al momento c’è sul piatto della bilancia: sarà un Natale diverso. Senza eventi e probabilmente – se non cambieranno le cose – anche senza contatti, senza tradizione, magari anche senza regali. C’è un regalo, però, che possiamo e dobbiamo farci a tutti i costi: fare squadra e collaborare tutti, in primis rispettando le regole e il prossimo. E poi magari anche facendo acquisti (per chi potrà permetterselo) sul territorio, per cercare di combattere questo malefico virus prima che sia troppo tardi. Sotto tutti i punti di vista.