Foto_Presidenti_GGI_Marche_Abruzzo_Umbria_LazioSi è tenuto ieri sera al teatro Filarmonici di Ascoli Piceno il XVIII Forum Interregionale del Centro dei Giovani Imprenditori di Confindustria dal titolo “Al Centro del Mondo”. Il programma, moderato dal giornalista di Radio24 Maurizio Melis, era suddiviso in tre panel distinti ma con un chiaro filo logico: analizzare gli scenari geopolitici internazionali, riportarli sul campo operativo, quello delle sfide che questi generano per le industrie, e infine cercare di delineare alcune previsioni – se possibile – sul futuro che le aspetta, alla luce delle informazioni, dei dati e anche delle nuove tecnologie disponibili.

Dopo i saluti istituzionali portati dal Sindaco di Ascoli Piceno, Marco Fioravanti, e del senatore Guido Castelli, commissario straordinario per la Ricostruzione Sisma 2016, entrambi allineati nel rimarcare rispettivamente la resilienza di questo tratto d’Italia duramente provato negli anni e oggi alle prese anche con il contrasto allo spopolamento dell’entroterra (“se l’Istat confermerà che nel 2050 avremo il 70% di persone che andranno verso la costa, allora vorrà dire che ci sarà un problema italiano” dice Fioravanti) e all’adeguamento alle nuove politiche europee (“O si innova o si muore” conclude Castelli, con un chiaro rimando al recente rapporto di Mario Draghi sulla competitività UE), l’apertura dei lavori del padrone di casa, il neo presidente del Comitato Interregionale dei Giovani Imprenditori, Massimiliano Bachetti.

“L’Europa ci ha chiesto di abbracciare le politiche green per mantenere la nostra competitività. Tuttavia, ciò che stiamo vedendo sul campo è l’opposto. La nostra competitività sta progressivamente scemando, e molti dei settori industriali su cui si regge l’economia europea stanno subendo danni che potrebbero essere irreparabili. Pensiamo al comparto dell’automotive europeo, oggi fortemente penalizzato da politiche che, pur con le migliori intenzioni ecologiche, stanno compromettendo la nostra capacità di rimanere competitivi su scala globale. Stessa sorte sta toccando l’acciaio, il cemento, la carta e tutti gli altri settori energivori, sempre più colpiti dalle politiche di transizione. Facciamoci ispirare dalla figura di Marco Polo, che portò il sapere italiano in Oriente, contribuendo a far conoscere l’Oriente all’Occidente e generando nuove rotte commerciali. Anche noi, oggi, – conclude Bachetti – dobbiamo essere pionieri, aprire nuove strade, creare nuove opportunità di crescita.”

Su questo aspetto si sono confrontati gli ospiti del primo panel: il giornalista e analista geopolitico Dario Fabbri, e la docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani, Michela Mercuri.

“Dobbiamo comprendere che il modello occidentale, che poi è in buona sostanza quello americano, – dichiara Fabbri – non è accettato da una consistente fetta di popolazione mondiale. Gli Stati Uniti, che per anni hanno usato il loro arsenale come deterrente e la loro ricchezza come strumento di negoziazione a livello internazionale, si sono accorti che oggi quel modello non è più sufficiente a garantire l’ordine mondiale. Negli USA, dati alla mano, quasi un terzo della popolazione soffre di depressione psicologica clinicamente certificata. Il tipo di capitalismo che il sogno americano offriva, volto al successo individuale e alla conquista della felicità, oggi si infrange davanti ad una realtà diversa.”

Una fragilità evidente anche nel dualismo Trump-Harris dove, da un lato emerge un sentimento democratico disposto a rileggere la storia con una lente critica rispetto alle politiche estere adottate, mentre dall’altro, la granitica visione repubblicana al grido del “chi non ci vuole non ci merita”.

“Negli ultimi tempi ci siamo concentrati sul conflitto russo-ucraino e sulla guerra tra Israele e Hamas, ma ci siamo dimenticati di una porzione del mondo che riguarda l’Africa”, rilancia Michela Mercuri. “Le rivolte in atto hanno portato molti paesi africani ad essere instabili, ma più attrattivi anche per via del piano Mattei. Gli affari previsti però riguardano piani e progetti che non ricevono adeguato sostegno dai fondi europei e per questo gli sforzi di cooperazione e di investimento ricadrebbero largamente sui privati. In realtà tutta l’Africa e non solo i paesi che si affacciano sul Mediterraneo rappresentano per noi europei il futuro, anche perché i paesi di quelle aree hanno preso consapevolezza delle proprie risorse e sono pronti ad intavolare accordi con altri paesi internazionali.”

Nel secondo panel Gianluca Tondi, AD di TM Italia, che produce cucine di altissima fascia e di design e che in pochi anni ha portato al 70% il suo fatturato estero, Alexandre Moscianese, partner di Arkios Italy, che ha rappresentato le strategie di sviluppo alla portata anche di PMI grazie ad una maggior propensione alla diversificazione, fino ad Alessandro Randon che, come CEO di Alperia Smart Services, con cui si è dibattuto sulle strategie adottate da operatori economici sempre più attenti all’efficienza energetica e alla sostenibilità ambientale, anche come fattori di competitività.

Nell’ultimo panel, dedicato alle previsioni internazionali, Massimo Cupillari, Wealth Advisor Mediolanum Private Banking, sull’evoluzione recente e prospettica dei tassi di interesse e sulle relazioni tra andamento dei valori di borsa ed economia reale, e Achille Magni, Direttore Commerciale TeamSystem, per rappresentare come le nuove tecnologie possono incidere nella ricerca, nella identificazione e nella valorizzazione dei dati aziendali.

Infine, il Rettore dell’Università Politecnica delle Marche Gian Luca Gregori, che ha illustrato i risultati di un’inedita indagine, condotta sulla base dei dati presentati di recente dal Prof. Francesco Maria Chelli, Presidente ISTAT e da cui sono scaturite riflessioni condivise. Dall’analisi, infatti, emerge che “sono quasi 121 mila sono le imprese esportatrici attive nel 2022: il 50% è nella manifattura, il 37,3% nel commercio e il 12,7% in altri settori. Le imprese manifatturiere pesano per circa l’80% sul valore complessivo dell’export di merci delle imprese industriali e dei servizi. Le micro e piccole imprese (meno di 50 addetti), pari all’84% delle imprese esportatrici manifatturiere, realizzano il 14% dell’export complessivo del comparto, le medie (50-249 addetti), pari al 13,8% del totale, il 32,7% e infine le grandi, con oltre 250 addetti ossia il 2,2% del campione, ben il 53,3%. La propensione all’export cresce all’aumentare della dimensione aziendale, ma è elevata già fra le micro-imprese. Tuttavia, il dato sorprendente, e che suggerisce un ripensamento del modello di analisi, è quello che emerge da certi SLL (sistemi locali del lavoro), dove l’export prevalente è dato dalle multinazionali straniere e non da quelle italiane. Questo è un fatto epocale e non ancora oggetto di studio prima di oggi.  Così cambiano le condizioni e anche i territori devono tenerne conto; risulta indispensabile riflettere su nuovi modelli e sulla valorizzazione di quegli elementi intangibili che devono essere alla base, oggi più che mai, delle strategie di internazionalizzazione delle imprese: le relazioni umane. Siamo alla vigilia del passaggio da un’economia della conoscenza ad un’economia delle relazioni e in questo contesto il futuro non si prevede, ma si costruisce.”

 

“Al Centro del Mondo ha acceso i riflettori sul ruolo essenziale dei giovani nel nostro Paese e come supportarli per esprimere tutto il loro potenziale” dichiara nelle conclusioni il Presidente Giovani Imprenditori di Confindustria, Riccardo Di Stefano. “Non possiamo permetterci di ipotecare il potenziale competitivo e innovativo dell’Italia, per questo dobbiamo puntare su formazione, investimenti in innovazione tecnologica e crescita economica. L’innovazione, insieme a energia e sicurezza, è di uno dei tre temi cardine del Report sulla competitività di Mario Draghi, ed è uno dei fattori chiave per la competitività delle nostre imprese. Per modernizzare l’Italia in chiave di competitività e produttività dobbiamo puntare sulla politica industriale. Per questo il Piano Transizione 5.0 è per noi una misura attesa e molto utile, seppur con dei colli di bottiglia su cui lavorare. L’Italia ha bisogno di politiche con una visione almeno a 5 anni, con misure strutturali in grado di spingere verso l’alto la produttività.”

 

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