di Luca Marcolini
Il Natale di due anni fa fu proprio un bel Natale. Un Natale che, però, per tante famiglie del territorio piceno non tornerà più ad essere come prima. Sì, per una volta vogliamo intingere la penna nella retorica, ma quando la retorica rappresenta uno strumento utile per riportare a galla quel dolore, quelle vite strappate alla normalità che purtroppo in tanti, ai posti di comando, stanno già progressivamente dimenticando, benvenga…
Per mesi, anzi ormai da quasi un anno e mezzo, anche su questo giornale ci siamo ritrovati a scrivere quasi quotidianamente di situazioni che se da una parte hanno messo sotto i riflettori giusti quel cuore grande che le forze dell’ordine, i volontari, l’esercito, i semplici cittadini che si sono ricorciati le maniche hanno dimostrato più di ogni altra volta di avere, dall’altra – purtroppo – è venuto a galla il paradosso di un’emergenza che è stata tamponata e si sta continuando a tamponare, sicuramente in buona fede e comunque senza alcuna volontà di affibbiare etichette o di favorire la strumentalizzazione politica (specie in questa fase), in maniera inadeguata o perlomeno in modo sicuramente non lungimirante.
Il più bel regalo, per tutte quelle popolazioni che sono rimaste chiuse dentro le stanze degli alberghi, in casette (poche) che in certi casi perdono i pezzi o addirittura – ne abbiamo avuto testimonianza diretta – ancora in roulotte di emergenza acquistate a loro spese per potersi sentire a casa, nelle loro zone, potrebbe essere forse quello di sedersi accanto a queste persone ed ascoltarle, sentire i loro effettivi bisogni, magari prendere appunti e, il giorno dopo, dirottare lì quei soldi che invece, spesso, finiscono altrove non per malafede, ma per la difficoltà di canalizzare i fondi innanzitutto verso le priorità. Ben vengano i 5000 euro per i professionisti in difficoltà, ben vengano le agevolazioni fiscali per consentire alla rete economica di reggere l’urto… Ma cosa c’è che possa venire prima della restituzione di un tetto, di una casa, di un posto adeguato dove dormire e magari tornare a sognare qualcosa di diverso dall’incubo terremoto?
I privati, la solidarietà, hanno fatto il loro cammino che spesso si è concluso con atti estremamente concreti, con la fabbrica, benedetta, di Della Valle che potrà ridare posti di lavoro nella zona di Arquata, o in centri sportivi, centri di aggregazione per riattivare la socializzazione, persino le scuole sono state aperte laddove il sisma aveva spaccato in due la vita di montagna. Tutto tranne che le case. Ed ecco, allora, che la domanda del lettore medio, così come la nostra, è semplicemente la più scontata: ma che paese è, che cittadina è quella che ha scuole, campi sportivi, presto riavrà anche strade, negozi e magari anche parcheggi e servizi se, però, non ha case? Che paese è quello in cui si può vivere solo di giorno perché poi di notte, i suoi abitanti devono andare a dormire sulla costa, negli alberghi? E tutto questo dopo un anno e mezzo senza che nulla, all’apparenza sembra essere cambiato?
Ed allora il regalo più bello, per il rispetto di tutte quelle persone che hanno perso le proprie radici per la mancanza di un tetto, potrebbe essere proprio restituire loro la dignità. Sedendosi accanto a loro, prendendo appunti e poi, prima di ogni altra cosa, restituendo loro la casa che hanno perso senza alcuna colpa, insieme, forse, ad un pezzo della loro identità.
Solo così potrebbe davvero essere un buon Natale…